Data di pubblicazione: 10 Ottobre 2022

Ho capito con il tempo e con il susseguirsi delle esperienze che la chiave di ogni realizzazione non sta nella sua riuscita.

Partiamo dal principio: quando decidiamo di metterci all’opera, un primo sfuggente pensiero va dritto dritto al risultato finale, è inevitabile. Sarà per via del legame che ci stringe alla nostra passione, in grado di assorbirci completamente diventando parte fondamentale della nostra vita, sarà per la natura appagante del lavoro manuale che ci coinvolge ed accresce la curiosità, fatto sta che prima, dopo e durante la realizzazione dei nostri progetti la nostra mente non può fare a meno di appoggiarsi sull’idea del risultato finale.

Questa attitudine, in parte, è un bene: se non ci ponessimo obiettivi non sarebbe possibile ragionare sulle modalità di lavorazione e sulle proprie scelte stilistiche… ma siamo sicuri sia sempre un bene fossilizzarsi sull’attesa del gran finale?

Negli anni, non ho potuto fare a meno di notare che ogni mia grande idea non è quasi mai nata in fase di ideazione ma, bensì, in fase di realizzazione. Quando le mani sono già in pasta è più semplice comprendere la propria direzione. Quel particolare che non ci convince magari, idealmente, poteva anche avere il suo perché ma, una volta riprodotto dal vivo, è più semplice constatare se incontra o meno il nostro gusto. La possibilità di toccare con mano ogni fase della realizzazione ci permette di abbandonare repentinamente quelle scelte che potrebbero rivelarsi “vicoli ciechi” e di cogliere quei particolari in grado di produrre una nuova idea per sfruttarli a nostro vantaggio.

Riflettendo sulle mie abitudini, ho capito che lavorare senza pensare a ciò che sarà è la scelta migliore, concentrarsi sul presente è di gran lunga di maggiore utilità, oltre ad aiutarci a filtrare un po’ l’ansia di quello che salterà fuori dalle nostre mani. Concentrandoci sul presente avremmo poco tempo per tutti quei “demoni” che tante volte iniziano a farci dubitare delle nostre capacità: “E se poi sbaglio?”, “E se viene male?”, “Sarò in grado di portarlo a termine?”. Tutto il nostro focus, la nostra totale attenzione, verrebbe proiettata sulla fase attuale della nostra creazione, avendo così la possibilità di immergerci a pieno nell’esperienza che stiamo vivendo, cogliendo ogni insegnamento, comprendendo ogni errore e seguendo ogni nostra personale sensazione.

Gli errori… non so bene da dove derivi il nostro terrore nei confronti dello sbaglio. L’errore è la parte più formativa di ogni esperienza, dovremmo imparare semplicemente a non imputarcene la colpa ma, al contrario, a comprendere che sbagliando oggi ci stiamo assicurando un errore in meno domani. Siamo umani, abbiamo tutto il diritto di sbagliare. Da quando ho fatto a patti con il senso di colpa, seppur benevolo, e ho deciso di comprendere le mie intenzioni piuttosto che i miei risultati oggettivi, ho iniziato ad accogliere ogni sbaglio come una nuova lezione e, non solo vivo con più leggerezza il mio momento creativo, raggiungo anche un maggior numero di risultati.

Se fossi l’imperatrice della creatività (e, davvero, lungi da me volerlo essere!) come prima riforma abolirei il paragone. Una delle frasi più comuni che scaturisce dai nostri incontri agli eventi di settore è: “Non sono brava come te…”. Prova ad immaginare una vita monotòno, una dimensione in cui ogni sfaccettatura non possiede una sfumatura propria, un mondo tutto blu, per dire, in cui persino l’etichetta dell’iconica Coca Cola non potrebbe mantenere la propria colorazione. Riassunto in due parole: CHE NOIA.

L’omogeneità rende sempre tutto meno interessante, se possedessimo una sorta di fantasia telecomandata settata per tutti sulla stessa frequenza non esisterebbe nemmeno il concetto di creatività. Ciò che deve stimolarci non deve riguardare qualcun altro, non dobbiamo aspirare a diventare “veloce come” o “bravo quanto”, la nostra maggiore aspirazione dovrebbe dirigersi semplicemente verso il soddisfacimento della nostra necessità d’espressione, nulla di più, nulla di meno.

Sono certa che persino alla prima visione di un’opera di Picasso ci sarà di certo stato qualcuno ad affermare: “Ma questo lo sapevo fare anche io! Non è bravo come…” e ragazzi, parliamo di Picasso. Detto ciò, una volta oggettivizzato che ci sarà sempre, in qualunque caso, qualcuno pronto a scoraggiarci, occorre tenere ben a mente che l’unica aspettativa da soddisfare è la nostra, a quel punto, un commento esterno non potrà più scalfirci né rallentarci, diventerà nullo, ininfluente.

Parliamo spesso di “riuscita” ma ciò che non valutiamo è l’enorme quantità di accezioni che questo termine può prendere per ognuno di noi. È impensabile ridurre la “riuscita” solo ad un fattore estetico, riuscita può significare anche solo portare a termine fino in fondo il nostro lavoro, indipendentemente dal risultato visivo; può significare la vincita sulle nostre paure, il raggiungimento dell’obiettivo di mettersi in gioco, e ancora, la scoperta di nuovi insegnamenti per il futuro: è un concetto davvero variabile. Sta a noi decidere dove posizionare la nostra personale bandierina di arrivo, il nostro traguardo ed ogni eventuale elemento esterno che minaccia di destabilizzarci o di smontare la nostra enfasi del momento, a quel punto, perde di fondamento.

Il mio più grande consiglio è quello di coltivare il rapporto con la propria passione, di fortificarlo giorno dopo giorno proteggendolo dalle più sciocche intimidazioni e dedicandogli il maggior tempo e le più interessate attenzioni che possiamo permetterci, in questo modo ci sentiremo invincibili ed ogni sfida rappresenterà per noi uno stimolo, non una paura in più.

Ho capito che la chiave di ogni realizzazione non sta nella sua riuscita perché il risultato finale non è altro che il frutto di un percorso che non conosciamo e da quando ho fatto di questa convinzione un mantra personale ho trovato soddisfazione anche nel più piccolo dei risultati.

2 Comments

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    • Vanda Brombin 9 Febbraio 2023 at 16:37 - Reply

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